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Vini verticali

Tutto ha inizio dalla terra, sale su un fusto e diventa tralcio.

Da qui figliano pampini e bacche, frutti pieni e succosi che si fanno grappolo: il grappolo d’uva che è origine del nostro mosto.

Tutto ha inizio dalla terra, sale su un fusto e diventa tralcio.

Ci chiamiamo Marco e Valentina, siamo fratelli

Siamo bambini e ci arrampichiamo tra le viti, raggiungiamo a fatica il punto più alto. La ricompensa per tanto sforzo sono dei chicchi piccoli e tondi, opachi, che teniamo un po’ tra le dita prima di infilarceli in bocca. Il sapore è zuccherino, poi diventa aspro, erbaceo, lega un po’. Ripercorriamo il vigneto in senso opposto, in discesa, ridendo ad ogni caduta.

D’un tratto siamo grandi. Ci occupiamo di cose distanti da quei vigneti, in cui torniamo di tanto in tanto solo per svago. Poi sempre più spesso. La terra chiama, sussurrando, poi gridando forte parole a cui non si può resistere. Sono i nomi dei nostri avi, di nostro padre, infine i nostri. Cediamo.

È il 2008, i vigneti diventano la nostra occupazione.

È il vitigno che dà l’impronta al vino. Nel DNA del chicco d’uva è scritta buona parte della storia del vino che sarà. Ma è poi il contesto geografico in cui affondano le radici a renderlo unico: la terra, il sole, l’acqua. E una prospettiva inclinata, molto inclinata.

Vini verticali

Ad inizio ‘900, quando ad occuparsi delle viti sono i nostri nonni, l’area del Feltrino produce 60.000 ettolitri di vino. Poi la fillossera, le guerre e l’abbandono delle terre per l’emigrazione passano come cavallette sulle superfici vitate sterminandole. Gli appezzamenti che sopravvivono resistono solo grazie all’amore dei vecchi. Da loro acquisiamo la maggior parte dei nostri vigneti, quando l’età e le impervie condizioni non gli consentono più di occuparsene. Perché per la maggior parte sono appezzamenti piccolissimi, ripidi e ghiaiosi, la cui estrema pendenza ci ha obbligato ad una prospettiva molto inclinata sulle cose. Lenta e faticosa, ma che prelude a discese spassose.

Complice il clima bizzarro portato dalle Dolomiti, fatto di inverni rigidi e lunghissimi ed estati scandite da repentini sbalzi termici, il risultato è un vino unico e irripetibile, ancorato alle radici, ma che punta in alto. Verticale.

Da un processo biochimico l’alchimia della trasformazione dell’uva in vino: la vinificazione che ha inizio dal rituale vitale e prospero della vendemmia.

A mani nude

Nel 2011 siamo pronti ad investire in nuovi impianti di vinificazione, che ci consentono di eliminare il supporto di cantine esterne e finalmente di fare il vino a modo nostro. Ci attrezziamo di botti piccole, perché le rese per ettaro dei nostri vigneti sono limitate e preferiamo puntare sulla qualità tralasciando le grandi quantità. Le vinificazioni sono condotte in modo naturale con un attento controllo delle temperature e riducendo al minimo l’utilizzo dei solfiti. Anche la difesa delle piante avviene per quanto possibile in modo naturale, secondo i parametri della lotta integrata volta a limitare gli interventi chimici e a preservare così l’ecosistema. La pendenza media dei nostri vigneti storici, ostile ad essere percorsa da altri mezzi se non a piedi, ci obbliga ad eseguire manualmente tutte le pratiche agronomiche, così come la vendemmia, rituale prospero e di grande socialità che prelude al vino che verrà.

Apparteneva a Vanduja il nostro vigneto più antico. Si addormentava tra le vigne per la paura che, di notte, qualcuno gli portasse via l’uva. Non poteva che chiamarsi così il nostro primo vino.

Vini molto personali

È la fine dell’800 e Bepi Vanduja, instancabile contadino e gran bevitore, mette a dimora barbatelle di vitigni autoctoni sui ripidi conoidi calcarei del monte Aurin. Un secolo dopo lo ereditiamo noi, quel vigneto, e traiamo dalle sue uve il nostro primo vino. Decidiamo di dargli il suo nome non solo per rendere omaggio alla sua intuizione, ma perché ci pare ancora di vederlo lì, chinato sul terreno a spaccare i sassi col martello. La strada è segnata e i vini che seguono vengono nominati con lo stesso criterio, mutuando l’identità da chi in vari modi ha contribuito a crearne la fisionomia. Il Saca, la nonna Jenia, Ico, nostro padre, e tutti gli altri, persone di carattere che hanno fatto la storia dei nostri vigneti. La nostra storia.

Il gusto assorbe umori e mode, ma è anche dettato da necessità e consegue a condizioni climatiche, natura del territorio e disponibilità economiche. Così si crea un gusto del vino che cambia di tempo in tempo.

DI PAVANA, GATA, BIANCHETTA ED ALTRE STORIE

La nostra storia inizia con i vitigni autoctoni, l’uva Pavana, la Gata, Turca, la Bianchetta Fonzasina. C’è la voglia di recuperare cose perdute. Si insinua piano però anche la voglia di sperimentare. Nasce il Saca, prima spumantizzazione della Bianchetta, arrivano le coltivazioni di vitigni internazionali, impianti moderni. Fino ad Ico, la nostra personale bollicina.